Con il termine Talibè che vuol dire “allievo che studia il Corano”, si identificano bambini tra i 3 e i 15 anni provenienti dai villaggi non solo del Senegal, ma anche del Mali, del Gambia, e delle due Guinee che vengono affidati dalle famiglie ad un precettore coranico chiamato marabout, maestro del corano e costretti a vivere lontani dalle famiglie nelle daare, le scuole coraniche in condizioni spesso intollerabili in nome di una educazione religiosa che viene considerata un dovere fondamentale.
Sono bambini privati dei diritti fondamentali, a cominciare dall’istruzione e vengono spesso costretti a mendicare e se da un punto di vista religioso la raccolta dell’elemosina assume per l’islam un valore pedagogico, perché utile ad imparare la virtù dell’umiltà, i privilegi garantiti dallo status di marabout hanno fatto nascere un fiorente mercato di sfruttamento minorile, composto da figure di profittatori che poco hanno a che fare col reale insegnamento dei precetti religiosi. In diverse daara i talibé vivono in situazioni di estrema indigenza, abbandonati a se stessi, senza cibo, privi di cure sanitarie, maltrattati e costretti in condizioni igieniche disastrose, obbligati a trascorrere gran parte della giornata per le strade a mendicare, esposti a pericoli e violenze.
Nella società tradizionale i talibè hanno sempre avuto un ruolo sociale centrale. Ci si rivolgeva alle scuole per risolvere problemi familiari, economici o personali attraverso l’intercessione dei maestri. Secondo la giornalista canadese Marie Julien Gagnon, i marabout hanno sempre avuto più influenza dei politici stessi. Con l’urbanizzazione degli anni ’80, poi, le cose sono cambiate. Dalla campagna ci si è spostati in città, dove il fenomeno è diventato endemico e la figura del talibè è diventata costante. Altra costante è stata la forma di schiavitù a cui questi bambini hanno dovuto sottostare. Gli abusi e le violenze sono all’ordine del giorno.
Secondo un rapporto dell’Unicef pubblicato nel 2007, nella regione di Dakar il 90% dei mendicanti sono bambini. Il 95% di questi provengono da altre aree limitrofe o da altri Paesi. Il documento sottolinea un aspetto interessante. Questi bambini sono sì mendicanti, ma non a tempo pieno. Sono part time. Mentre gli altri “non talibè” sono per strada tutto il giorno, i talibè devono osservare delle ore di lezione nelle scuole coraniche. Guadagnano, però, molto meno rispetto ai loro coeatanei. Buona parte dei proventi, infatti, finisce nelle tasche dei maestri. 350 franchi al giorno (50 centesimi di euro) è il costo della “retta” scolastica. Una cifra enorme vista l’indigenza di buona parte dei senegalesi.
L’alimentazione è inoltre poverissima. Riso, verdure e pane. Solo 1 bambino su 5 mangia frutta. E lo Stato? Tecnicamente ci sarebbero delle leggi che tutelano i minorenni. Il lavoro è permesso solo ai maggiori di 15 anni e l’età scolare obbligatoria e gratuita ricopre la fascia di età dai 6 ai 16 anni. In molte zone, però, questa volontà non è mai stata esaudita.